Il secondo millennio era ormai agli sgoccioli quando il romanzo d’esordio di un ancora sconosciuto scrittore argentino ipnotizzò un giurato del premio Herralde. Correva cioè l’anno 1999 quando l’immenso Roberto Bolaño stabilì che l’avvenire della letteratura era nelle mani di Andrés Neuman. Ogni qualvolta gli capitava di imbattersi in un giovane talento, Bolaño aveva voglia di piangere. Ne ignorava il futuro: per questo gli veniva voglia di piangere. Non sapeva se il ragazzo sarebbe stato falciato via da un destino insensato. Non sapeva, per esempio, se un’auto guidata da un ubriaco lo avrebbe investito nottetempo. Né poteva sapere se il bisogno di scrivere sarebbe rimasto con lui o se l’avrebbe abbandonato all’improvviso e senza un chiaro motivo. Una cosa però riteneva di saperla. Sapeva che la letteratura del XXI secolo sarà comunque una faccenda di giovani fatti della stessa pasta di Neuman. Era inoltre consapevole che una malattia degenerativa del fegato lo condannava a una morte imminente e prematura. Ebbe tuttavia il tempo di vedere che il suo erede non tradì le promesse. Nel 2003, ovvero alla scomparsa di Bolaño, Neuman aveva già dato alle stampe un paio di nuovi romanzi, due raccolte di racconti, sette opere di poesia, una traduzione dal tedesco e una lunga serie di altri testi di variegata natura. Da allora ha proseguito per questa strada mantenendo lo stesso prolifico passo. La definitiva consacrazione è giunta nel 2009 con Il viaggiatore del secolo. È “un romanzo futurista che accade nel passato”, per dirla alla maniera dell’autore. E il passato in questione è il 1827 di una città immaginaria della Germania post napoleonica. Ha per protagonista un viandante dai trascorsi incerti, tale Hans, capitato per caso nella sperduta Wandernburgo. Le sue intenzioni sarebbero quelle di fermarsi per una notte soltanto, giusto il tempo di riposarsi. Ma come capita al giovane Hans della Montagna Incantata di Mann, intrappolato più del previsto in un sanatorio sulle Alpi, l’Hans del romanzo di Neuman resta irretito nelle strade mutevoli di un luogo strano, fluttuante, dal quale nessuno è mai riuscito ad andarsene. Amore e mistero intersecati da lunghe discussioni in taverne fumose fanno di questo libro un oggetto indefinibile ma straordinariamente suggestivo, un’indagine tra passato e presente su interrogativi senza tempo quali la condizione del migrante, il senso della tradizione, il ruolo sociale della donna. Impressiona la maestria, la disinvoltura da narratore più consumato con cui Neuman assembla una gran quantità di materiali restando in magico equilibrio tra Storia e illusione.
Per conseguire simili risultati è necessario sbarazzarsi dei propri fantasmi. A questa attività propedeutica lo scrittore si era infatti dedicato con scrupolo amorevole nel romanzo precedente. Volendo accontentarci di una catalogazione convenzionale, lo potremmo archiviare come saga famigliare, genere peraltro molto praticato in America Latina. Ma sarebbe una definizione riduttiva, oltre che ingannevole. Perché se è vero che Una volta l’Argentina propone una vorticosa e peripatetica carrellata di antenati, altrettanto indubbio è che i rami di questo albero genealogico sfumano spesso nel fiabesco. “Tutte le persone realmente esistite di questo romanzo si presentano come personaggi di fantasia. Tutte le invenzioni che vi si trovano vorrebbero sembrare reali” avverte lo scrittore, quasi invitasse il lettore ad abbandonare in partenza qualunque proposito di non considerare il reale se non tra virgolette (secondo il grande Nabokov, solo modo sensato di scrivere questa parola). Del resto, le due entità, realtà e immaginario, debbono restare unite perché è dal loro congiungimento che scaturisce la materia di cui sono fatti i fantasmi: i ricordi. Alla stessa maniera, le storie degli avi si muovono come passeggeri di un treno chiamato Argentina nei cui finestrini è inquadrato il paesaggio della Storia. E chi può dire se in questo viaggio, al contempo tragico e soave, siano i viaggiatori a sfrecciare nel paesaggio o il paesaggio a sfilare via?
Mi piace Neuman e mi piace questa recensione. Mi piacciono tanto tutte le recensioni di questo blog. Mi piacciono anche le recensioni di libri che non mi sono piaciuti. Nelle notti con poco sonno, al buio per non fare diventare subito giorno, me le leggo.