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Il senso della Storia è riposto nelle coincidenze. Intorno alla metà dell’Ottocento, a Hydesville, un piccolo villaggio a una ventina di miglia da Rochester, nello stato di New York, si verificarono eventi fuori dell’ordinario destinati a segnare la nascita dello spiritismo moderno. Kate e Margaret Fox, due sorelle dotate di poteri medianici, riuscirono a mettersi in contatto con un’entità soprannaturale che aveva disturbato la quiete della casa di famiglia con fenomeni di pneumatofonia, parolone oscuro che in soldoni sta a indicare i suoni con cui i fantasmi farebbero sentire la loro presenza. Non molto tempo dopo la Eastman Kodak Company, che aveva la sua sede proprio a Rochester, produsse la prima fotocamera Brownie. In cosa consiste la coincidenza? Tanto per cominciare, il nome. Il “Brownie” era una specie di elfo marrone, un goblin domestico e volenteroso che infestava fattorie e altre costruzioni di campagna. Ma a parte questo dettaglio, peraltro non insignificante, fotografia e spiritismo avevano parecchie cose in comune, la principale delle quali era lo sforzo di creare immagini durature. I fantasmi, si sa, sono sfuggenti: appaiono e scompaiono. Si fanno vedere poco e male, lasciandoci sempre con il dubbio di avere avuto un’allucinazione. E non è forse un fantasma, una creatura impalpabile e scostante, ciò i fotografi cercano di catturare, ovverosia la luce? Del resto, la fotografia trova le sue origini nella scienza occulta. Già nel XV secolo gli alchimisti disponevano di miscele fotosensibili a base di argento e sali marini. Ci vollero però tre secoli perché si riuscisse a ricavarne delle immagini da fissare su carta, e quando ciò avvenne qualcuno sentenziò che le fotografie non erano un prodotto della mano dell’uomo bensì di misteriose forze esterne e magari finanche divine, come quelle che avevano consentito al volto di Cristo di imprimersi sulla Sacra Sindone. Non a caso la santa patrona dei fotografi è Veronica. Non deve dunque sorprendere che l’affermarsi dello spiritismo moderno sia stato accompagnato dalla comparsa della fotografia spiritica, detta anche fotografia psichica. In città come Boston e New York era possibile trovare studi specializzati nella realizzazione di questo particolare tipo di immagini.

All’epoca suscitò grande scalpore il caso di William Mumler, che a un certo punto della sua esistenza abbandonò il lavoro di gioielliere per dedicarsi a tempo pieno alla più gratificante — e probabilmente anche munifica — attività di ritrattista di fantasmi. Famosa è la sua foto della moglie di Abramo Lincoln in compagnia dello spirito del defunto presidente. I servigi di Mumler erano molto richiesti, anche perché erano molti coloro che avevano perduto qualche caro nella Guerra Civile. Gli affari andarono a gonfie vele finché non furono notate somiglianze sospette tra gli ectoplasmi di quelle foto e persone che se andavano beatamente a zonzo, vive e vegete, per le strade di Manhattan. Mumler venne processato per truffa e, sebbene giudicato non colpevole, la sua carriera ebbe termine e morì in povertà. Oggi le sue foto sono considerate bufale al pari di quelle che Edgar Allan Poe propinava ai lettori di riviste e giornali. Con la differenza, però, che l’inventore del genere horror turlupinava il prossimo senza fini lucro. Spacciava per autentici reportage quelli che erano solo racconti immaginari perché convinto che lo spirito dei tempi moderni andasse cercato proprio nelle panzane. Quanto alle foto spiritiche, che siano falsi clamorosi o prove inconfutabili dell’esistenza di mondi ulteriori, costituiscono comunque un interessante territorio d’indagine, un crocevia unico dove scienza, religione e arte si confondono. John Harvey ha raccolto queste immagini stupefacenti affrancandole da qualunque forma di pregiudizio. Fotografare gli spiriti è l’affascinante storia di cosa siano diventati il soprannaturale e l’elaborazione del lutto nell’epoca della loro riproducibilità tecnica. Una storia dell’impossibile: immortalare i morti. “Da oggi la pittura” è morta” disse un artista contemplando per la prima volta un dagherrotipo. Peccò di pessimismo. La fotografia non uccise nessuno. Nemmeno chi era già morto. Anzi, proprio ai morti regalò nuova vita, seppure in bilico tra visibile e invisibile, tra mistero e ciarlataneria.

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