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Proprio nel giorno in cui la mia scrupolosa editor mi spedisce il file della versione definitiva del diario di un’estate marziana, esce postumo Black Tulips e siccome – un po’ da sempre ma in modo particolare da quando ho ricevuto precisi insegnamenti in materia da un amico artista e maestro di vita – le coincidenze non sono per me mai casuali ma segni da cogliere, dico all’editor che ho avuto un ripensamento. Vorrei aggiungere un paio di pagine, le dico, un nuovo capitoletto. Un ricordo di Vitaliano Trevisan, anche se questo ometto di dirlo all’editor. Un ricordo e poi un sogno che ho fatto qualche giorno dopo la morte e in cui Trevisan mi appariva non come sé stesso ma con le sembianze di un altro scrittore. Nel capitoletto aggiunto al diario ometto di dire – è una mia mania quella di omettere – chi era l’altro. Non che costituisca chissà quale segreto, è un dettaglio di troppo, tutto qua; devia l’attenzione dal nocciolo, che non è appunto l’identità dell’altro scrittore e neppure il perché tra i tanti scrittori a disposizione il mio io notturno abbia pescato proprio quello, bensì il motivo per cui Trevisan non mi sia apparso come sé stesso. Ora che leggo questo libro postumo, il motivo non è più così oscuro come lo era al risveglio dal sogno. Black Tulips è, tra le tante cose, un libro sul nascondimento inteso come equilibrio precario, come precipizio in cui si decide la sopravvivenza di un individuo. Trevisan parla in effetti di trasparenza, del diventare invisibili agli altri, ma è lo stesso. Per essere più precisi, il libro parla di ciò che avviene a un individuo quando la possibilità di nascondersi o farsi trasparente viene meno. A voler stare ai fatti, il libro racconta un viaggio in Africa, parla di donne nigeriane e prostituzione e del rapporto di Trevisan con queste donne e la prostituzione, parla del velleitario tentativo di mettere in piedi una specie di impresa in Nigeria. Il vero succo è però l’impossibilità di nascondersi. Per esempio, l’impossibilità di non essere visto da tutti, in quanto bianco, in un paese di neri. Ma questa, ovviamente, non è che una metafora di qualcosa di ben più profondo e tragico. Mostrandosi in sogno nascosto dietro un altro scrittore, Trevisan mi spiegava quale fosse il suo dolore anche se lo capisco soltanto ora.