Ammesso che il commercio abbia mai avuto un’anima, quest’anima, la pubblicità, non basta più. Così il commercio ha pensato di vederla. E non al diavolo, come si potrebbe pensare, bensì a una creatura di più modeste ambizioni: l’ignoranza. A molti sarà capitato di imbattersi nel simpatico spot in cui Dante è al lavoro su un rotolo di carta igienica. Una graziosa fanciulla afferra il rotolo, dà una scorsa veloce, dopodiché, con accento più o meno toscano, esprime il suo parere: “Bella codesta commedia, Dante. Divina! Ma non sarà un tantino lunga?” Noi consumatori potremmo anche sorridere di fronte a tanta poetica morbidezza, non fosse per la didascalia che accompagna le immagini: FIRENZE 1308 CASA DI DANTE. Poche essenziali coordinate in cui è concentrato un numero insensato di castronerie. E dire che non bisogna essere Roberto Benigni e neppure insigni studiosi per sapere che nel 1308 Dante aveva lasciato casa da un pezzo. Quanto alla commedia divina, non una singola terzina fu composta a Firenze. Il sommo poeta vi si dedicò nei lunghi anni di esilio, portandola a compimento solo nel 1321, poco prima di morire. Possibile tanta ignoranza da parte dei creativi dell’anima del commercio? Evidentemente sì. Possibile che nessuno di costoro abbia avuto il colpo di genio di dare una controllatina? Eppure Wikipedia esiste per questo. Certo, una didascalia più corretta, RAVENNA 1321, avrebbe disorientato i consumatori non ferrati in materia. Ma non era mica indispensabile metterla, la didascalia. Con un po’ di malizia si potrebbe pensare che l’errore sia premeditato. Una trappola. Magari qualche giornalista saputello ci casca e, scandalizzato, scrive un corsivo dileggiando l’intera casta dei pubblicitari e i produttori di carta igienica tutti. Una manna per chi ragiona in termini di “Purché se ne parli”. Ma la verità più probabile è purtroppo un’altra. Se ne sono fregati. E se ne sono fregati perché questo è il segno dei tempi: fregarsene. L’ignoranza non è una colpa. Nemmeno il non essere consapevoli della propria ignoranza lo è. Fregarsene, questo sì che dovrebbe essere intollerabile. E invece. Mesi fa un’amica mi manda un sms: “È una bella giornata”. Resto colpito, perché nessuno più scrive È. La gente preferisce E’. E più apostrofo, cioè. Sa che ci vorrebbe l’accento, ma siccome con l’apostrofo si fa prima, se ne frega: tanto si capisce ugualmente. Così mi compiaccio con la mia amica. “Mi sa che il merito è di Steve Jobs” dice lei, alludendo al programma di scrittura dell’iPhone. Se n’era fregata anche lei. Come tanti. Come quelli che di recente e ovunque, su social network e quotidiani, hanno scritto: “E, apostrofo, morto Steve Jobs”.
“Resto colpito, perché nessuno più scrive È. La gente preferisce E’…”
Non si fa un po’ (non “pò”, hai visto?) prima, ma molto prima. La “gente” – che poi un editor che usa formule abusate come “gente” fa un po’ strano, scontato, pigro, ognuno ha le sue – non ha colpe, lo sa bene che ci va l’accento, l’ignoranza c’entra ben poco. Mi sembra una forzatura metterla su questo piano, una lagnanza che, semmai, dovrebbe essere rivolta a chi i computer li fabbrica e vende. Mi sembrano più gravi gli errori degli addetti ai lavori, non sempre accidentali refusi; tra congiuntivi, svarioni, inesattezze, povertà espressiva, punteggiatura latitante… Lo ammetto, io uso E’, ma spesso si è (non e’) obbligati a fare una cosa pur sapendo che è sbagliata, solo perché non c’è alternativa o perché economicamente non conveniente: si chiama adattamento. E’ un meccanismo che usiamo tutti per sopravvivere. Quando ci metteranno a disposizione una “È” a portata di polpastrello, “friendly”, saremo ben contenti di emanciparci. Insomma, questa tua invettiva mi sembra una bariccata. Si può dire ? 🙂
Si può dire, si può dire. Si può certamente dire anche se la questione che sollevo non riguarda l’ignoranza (che non considero una colpa, ribadisco) bensì il fregarsene. Mi sembra tuttavia di capire che ai tuoi occhi il fregarsene (il risparmiare tempo) assume i contorni più sfumati dell’adattamento, e anche questo è legittimo, per carità. Se poi l’apostrofo diventa addirittura una questione di sopravvivenza, non soltanto puoi ma devi. Lasciami però notare che non scorgo mancanza di alternative né vedo tutta questa convenienza economica. Basta ingegnarsi. La tastiera del pc da cui sto scrivendo, per esempio, è piena di risorse, a cominciare da quel lucchetto sulla sinistra. È sufficiente premerlo per vedere comparire l’accento al posto giusto. Qualcosa di analogo offre il mio cellulare (un comunissimo Nokia). Ora, se costituisce una così vitale convenienza evitare di premerlo, tanto vale adattarsi su tutta la linea e scrivere “x” al posto di “per, “ke” al posto di “che” e via di questo passo. Quanto alle altre cose che a tuo giudizio sono di gran lunga più censurabili, figurarsi se non sono d’accordo. Ma qui non si trattava di distinguere tra addetti ai lavori (a proposito, non comprendo perché tu mi definisca editor) e la “gente”, né tantomeno di inaugurare una crociata per il ripristino della “È”, peraltro serenamente bandita dalle redazioni di tutti i giornali. Il post è scritto un po’ sopra le righe, con mascherata ironia ovvero facendo ricorso a tante forme abuste e frasi fatte quali “sommo poeta”, “una manna”, “cascarci” e naturalmente “gente”. È scritto così proprio per significare implicitamente che nessuno è esente da vizi, a cominciare dal sottoscritto. Nessuno è esente perché questo è il nostro tempo e perché in questo nostro tempo che se ne frega siamo tutti gente. L’occhio contemporaneo è però poco sensibile a certi toni, forse ne è persino indispettito. Bada alla sostanza. Pretende cose dette alla lettera. Preferisce sopravvivere. Contento lui… 🙂 Grazie per il tuo pensiero.
Gentile Colapietro,
volevo ridimensionare almeno un poco il suo stupore, se non del tutto giusto quasi per nulla sbagliato. Perchè se è pur vero che in una tastiera del computer è realmente meno faticoso e più immediato scrivere “E'” piuttosto che “È”, è anche vero che nei telefonini lo si fa non tanto per pigrizia ma perchè economicamente più vantaggioso. Negli sms si hanno 160 caratteri a disposizione, superata questa soglia si paga l’sms in più. I caratteri vengono elaborati in byte e per le lettere classiche ad un carattere corrisponde una lettera, per segni più elaborati come può essere un simbolo § o anche semplicemente la È (maiuscola) in molti cellulari ancora è richiesto un numero maggiore di caratteri. Quindi molte persone, me compreso, preferiscono ricorrere ai due soli caratteri E più accento. Personalmente considero che questa inezia sopravviva nell’ombra di più giganteschi obrobri di storpiature grammaticali che, seppur anche loro nati per risparmi pecuniari, oggi campano nei temi scolastici, nelle mail, ovunque. Proprio per il menefreghismo e per l’abitudine. Anzi. Per abitudine e quindi per menefreghismo. Mi riferisco ovviamente ai X (per), XK (perchè) e ai mille altri nuovi vocaboli della lingua itaGliana. Saluti
Vedo che si persiste nel non cogliere il senso (o meglio: a non voler cogliere, visto l’esplicita precisazione). Qui la “E'” non vuole essere il punto né la lettera scarlatta dell’ortografia, ma soltanto un pretesto volto a sottolineare un’inclinazione diffusa al menefreghismo. Ma anche l’inclinazione a confondere più o meno consapevolmente il dettaglio col contesto, l’esempio col pensiero, è certamente un segno dei tempi. Torno poi a ripetere che di fronte a questioni di sopravvivenza in un mondo difficile, accetto in piena tranquillità qualunque tipo di ortografia. Mi sento soltanto di notare che quando si preferiscono altre ragioni alla forma, colui che ne paga il prezzo non è tanto il destinatario del messaggio quanto il mittente. Trovo infatti che sbagliare sapendo di sbagliare è in primo luogo una mancanza di rispetto verso sé stessi e ciò che si vuole dire. Ma si tratta ovviamente di una semplice opinione personale.
Ma infatti sono completamente d’accordo nella critica generale e ho colto abbastanza il disegno della società moderna incline alla pigra indifferenza; mi scuso, la mia voleva solo essere una puntualizzazione in quanto io stesso a volte scrivo in un determinato modo gli sms senza per questo sentirmi menefreghista ma semplicemente parsimonioso. Sarà colpa del sangue ligure che mi scorre nelle vene. Complimenti per il blog.
Non c’è nulla di cui scusarsi. Diro di più, trovo ancor meno necessario giustificarsi per il ricorso a ortografie di comodo. In questi giorni ho ricevuto molte mail private in cui si rivendica il diritto di apostrofare È, e con motivazioni di gran lunga meno sensate delle sue. Evidentemente ho toccato un nervo scoperto: le persone si sentono in colpa per un peccato affatto veniale; si sentono chiamati direttamente in causa, quando il mio intento, ripeto, non era fustigare l’errore ma il costume. Peraltro, il vero bersaglio non erano le persone che mandano sms al risparmio, ma i quotidiani ormai diventati obitori della sintassi e dell’ortografia, e senza che la cosa venga considerata un problema da coloro che i quotidiani li fanno. Se ho citato l’esempio della È è soltanto perché l’osservazione della mia amica (“Mi sa che il merito è di Steve Jobs”) mi ha dato da pensare. Diversamente, mi sarei limitato a ridicolizzare lo spot trovando altri esempi, che purtroppo non mancano. Precisato ciò, mi piacerebbe che le persone avessero più cura del modo in cui si esprimono, perché (e torno a ripetermi) è un’attenzione che rivolgono prima di tutto a sé stessi. Risparmiare qualche in centesimo in byte può essere buona cosa, ma investirne qualcuno per darsi una forma migliore non significa automaticamente buttare soldi dalla finestra. È un po’ come quando si compra un paio di ottime scarpe. Si spende qualcosa in più, ma si cammina anche più a lungo. Grazie per aver meglio chiarito il suo pensiero e l’attenzione che dedica al mio blog.
PS: I liguri sono effettivamente persone spigolose, ma comunque simpatiche e mai banali.