Sarà perché la prospettiva di essere soli in un universo sconfinato è un po’ deprimente, sarà perché è difficile tenere a freno l’immaginazione, ma è dalla notte dei tempi che noi umani non sappiamo fare a meno di domandarci se il cielo sopra le nostre teste stia lì a scopo puramente decorativo o sia invece abitato da creature intelligenti. Che si tratti di angeli o di omini verdi non fa molta differenza. Spesso una buona domanda conta più di una risposta esatta. Infatti, malgrado dagli spazi siderali non siano mai giunti segni di vita evidenti, ci ostiniamo a lanciare il nostro disperato appello: «C’è qualcuno lassù?» Non sarebbe forse ora di rassegnarci? Einstein sosteneva che soltanto due cose sono infinite: l’universo e la stupidità umana. «E della prima non sono nemmeno tanto sicuro» era solito concludere. È probabile che avesse ragione a nutrire dubbi sul nostro QI, ma credere agli extraterrestri non è affatto da idioti. Insomma, date un’occhiata al cielo di notte: milioni e milioni di puntini luminosi che corrispondono ad altrettanti corpi celesti. Possibile che siano tutti disabitati? Fosse solo per un fatto statistico, l’ipotesi che esistano altre forme di vita è più che ragionevole. Anche Stanley Kubrick ne era profondamente convinto, tuttavia quando si imbarcò nell’impresa di 2001: Odissea nello spazio temette fin da subito che il pubblico potesse prenderlo poco seriamente.
Era comprensibile. Stiamo parlando degli anni Sessanta, all’epoca la fantascienza era considerata ancora una robaccia di serie B, perlopiù popolata da mostri ridicoli il cui passatempo preferito era la conquista della Terra. Lo stesso Kubrick la pensava così nonostante fosse un accanito lettore di storie di marziani. Perfino un classico indiscusso come Metropolis gli faceva storcere il naso; trovava che fosse un film essenzialmente stupido. C’era poi un’altra faccenda che lo lasciava perplesso. Una sera, mentre scriveva il copione di 2001, vide un ufo. Kubrick non era però tipo da fermarsi alle apparenze, per cui non si diede pace finché non appurò che si trattava soltanto di un satellite. Ma cosa sarebbe accaduto se non avesse scoperto la verità? Avrebbe passato il resto dell’esistenza a raccontare di aver visto un disco volante? Gli extraterrestri sono di certo una questione di primaria importanza, ma è pure un terreno minato. Basta un niente e senza manco rendersene conto ci si ritrova bollati come dei mentecatti visionari. Che fare per evitarlo? Kubrick pensò che una buona soluzione potesse essere quella di interrogare i migliori luminari in circolazione e di montare le interviste come una specie di prologo al film. Spedì così un suo assistente in giro per il mondo con una macchina da presa e una lista di domande sul futuro. Come sarebbe stato il 2001? Saremmo entrati finalmente in contatto con questi benedetti extraterrestri? Avremmo viaggiato nello spazio? I computer sarebbero diventati macchine senzienti come Hal 9000? Alla fine Kubrick decise che 2001: Odissea nello spazio doveva camminare con le sue gambe. Inoltre il film era già abbastanza lungo da solo, con le interviste sarebbe durato un’eternità.
Il materiale girato dal suo assistente fu abbandonato in qualche scantinato e andò perduto. Sono però rimaste le trascrizioni delle interviste e qualcuno ora ha pensato di raccoglierle in un volume che non è soltanto l’anello mancante di un classico del cinema. Le persone interpellate sono tra i massimi esperti di allora in fatto di astronomia, antropologia, biologia, informatica e scienza in genere. Il libro è perciò anche un buon esempio di come i cervelloni degli anni Sessanta vedevano il futuro in cui oggi viviamo. Tutti concordano sul punto centrale ovvero che la vita su altri mondi è più che probabile. L’astronomo Gerald Hawkins profetizzò addirittura che avremmo ricevuto un messaggio dallo spazio entro il 2000. A quanto pare si sbagliava. Ma non è mica detto. Può infatti essere che gli alieni ci stanno già parlando e noi non siamo in grado di ascoltarli né di vederli. Secondo Irving John Good è verosimile che una civiltà più avanzata della nostra comunichi per via telepatica formando una coscienza più o meno immortale e integrata al resto dell’universo, che è poi anche l’ipotesi proposta nel finale di 2001 quando l’astronauta diventa una cosa sola con il monolite. In pratica, è come dire che a forza di evolverci diventeremmo qualcosa di vagamente simile a Dio. Magari è per questo che gli alieni aspettano a farci entrare nel grande club cosmico: perché non siamo ancora pronti a un salto del genere. Ma se così fosse, come reagiremo quando giungerà il momento del primo contatto? Probabilmente in principio resteremo un po’ frastornati, ma ci riprenderemo. «Gli umani hanno una grande capacità di adattamento» spiegò uno dei cervelloni all’assistente di Kubrick, ragion per cui ci abitueremo velocemente all’idea e andremo avanti come niente fosse. In fondo, nemmeno gli alieni sono roba dell’altro mondo.
Noi vogliamo credere. Come non cedere al fascino della “possibilità”.