(…) «Già il Rinascimento osservò per bocca di Giordano Bruno e di Bacone che i veri antichi siamo noi, e non gli uomini della Genesi o di Omero.
Che cosa ha fatto quest’uomo dell’Illinois, mi domando io chiudendo le pagine del suo libro, perchè episodi della conquista di un altro pianeta mi riempiano di timore e di solitudine?
(…) Forse “La terza spedizione” è la storia più allarmante di questo volume. Il suo orrore (io sospetto) è metafisico; l’incertezza circa l’identità degli ospiti del capitano John Black insinua incomodamente che nemmeno noi sappiamo chi siamo, nè com’è il nostro volto visto dalla parte di Dio. (…)
Verso il 1909 lessi con affascinata angoscia, nel crepuscolo di una grande casa che ora non esiste più, “I primi uomini sulla Luna” di Wells. Per virtù di queste “Cronache”, di concezione ed esecuzione molto diversa, mi è stato concesso di rivivere, negli ultimi giorni d’autunno del 1954, quegli allettanti orrori.»
(dal Prologo di J.L. Borges a “Cronache marziane” di R. Bradbury)
(…) «Già il Rinascimento osservò per bocca di Giordano Bruno e di Bacone che i veri antichi siamo noi, e non gli uomini della Genesi o di Omero.
Che cosa ha fatto quest’uomo dell’Illinois, mi domando io chiudendo le pagine del suo libro, perchè episodi della conquista di un altro pianeta mi riempiano di timore e di solitudine?
(…) Forse “La terza spedizione” è la storia più allarmante di questo volume. Il suo orrore (io sospetto) è metafisico; l’incertezza circa l’identità degli ospiti del capitano John Black insinua incomodamente che nemmeno noi sappiamo chi siamo, nè com’è il nostro volto visto dalla parte di Dio. (…)
Verso il 1909 lessi con affascinata angoscia, nel crepuscolo di una grande casa che ora non esiste più, “I primi uomini sulla Luna” di Wells. Per virtù di queste “Cronache”, di concezione ed esecuzione molto diversa, mi è stato concesso di rivivere, negli ultimi giorni d’autunno del 1954, quegli allettanti orrori.»
(dal Prologo di J.L. Borges a “Cronache marziane” di R. Bradbury)