Ai tempi, negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, lo chiamavano il Quinto Uomo, alludendo al gruppo di scrittori sudamericani cui veniva spesso accostato: Marquez, Cortzar, Fuentes e Vargas Llosa. Ultimo ma non ultimo, verrebbe da dire, perché quanto a talento il cileno José Donoso non aveva da invidiare niente a nessuno. La sua prosa sulfurea evocava visioni estreme e creature d’incubo. Tra i tanti libri scritti in settanta anni di esistenza in vita, Casa di campagna è quello che egli considerava più riuscito. Protagonista un gruppo di giovanissimi che in seguito a un’inaspettata assenza degli adulti prende possesso della labirintica e sontuosa dimora della famiglia Ventura, trasformandola in un luogo ai confini del mondo, un limbo senza più regole se non quelle trasgressive della magia e dell’erotismo. Divertente, surreale, incendiario, fatalmente labirintico, il romanzo è un’allegoria della scena politica sudamericana, una presa di distanza dal regime di Pinochet. Ma può essere letto in un’infinità di altri modi. Come un invito al sovvertimento di ogni regola sociale. Come una favola per famiglie. Come una satira della ricchezza. Come un libro in cui perdersi.