Nel secolo scorso, nel bel mezzo degli anni 80, fece la sua comparsa in quel di Roma un nuovo soggetto sociale. Un androide superdotato, capace di assolvere svariate funzioni tra cui bere, mangiare, drogarsi e fare sesso. L’inusitata e gratuita violenza cui era incline ne fecero un autentico barbaro, un antesignano delle peggiori interpretazioni di Arnold Schwarzenegger. Questa bestia, questo inqualificabile energumeno, questo maestro di sconcezza e turpiloquio, questo coatto sintetico era stato assemblato da un giovane contestatore, uno studelinquente, usando i pezzi di una fotocopiatrice rubata all’università durante l’occupazione del turbolento 1986 (l’inversione del 68 non è ovviamente casuale). Fu perciò battezzato prima Rank Xerox e poi Ranxerox, per via di una diffida dell’omonima azienda, per nulla contenta di vedere associato il proprio marchio registrato a un personaggio che era «poco definire deteriore». Dopo la criminalizzazione del Movimento studentesco, il giovinastro si era visto costretto a nascondersi nel 30° livello dell’Urbe, là dove nessun romano perbene osava spingersi, giacché il caos vi regnava indisturbato. L’idea era di usare la sua creatura scurrile e animalesca quale collegamento coi livelli superiori della Capitale e, in generale, con l’esterno. Il giovinastro era stato però scovato e ucciso dalla polizia. Rimasto orfano dell’aspirante Frankenstein, il mostro finì abbandonato a se stesso o meglio in balia dei capricci del suo indiscusso amore, tale Lubna, una dodicenne ultravolubile e oltremodo precoce in fatto di abuso di sostanze stupefacenti e sesso estremo. Ciò per quanto attiene il mito nudo e crudo, così come lo si poteva apprendere leggendo il fumetto che vedeva costui protagonista.
Diverse, seppure non di molto, le reali origini. Per scovarle, il calendario va sfogliato un poco all’indietro, sino al finire del decennio precedente, al cuore degli infuocati anni di piombo quando la droga scorreva a fiumi e il fumo dei lacrimogeni occludeva i polmoni. In quel clima da bolge infernali, Stefano Tamburini, romano, anzi borgataro, nonché esponente di punta della congerie contestataria di allora, unì le sue forze a quelle di alcuni consimili per dare vita a Cannibale, rivista di fumetti di strada più o meno ispirati ai comix dell’underground americano. Fu proprio su queste pagine che apparve il coatto sintetico. Per i primi episodi, acerbi e in bianco e nero, Tamburini fece quasi tutto da sé; «quasi» perché Andrea Pazienza detto anche «Paz» e Tanino Liberatore, noto come il Michelangelo postmoderno, diedero una mano nei disegni. Si passò quindi al colore, a tavole più elaboratore firmate dal solo Liberatore. Le pubblicazioni procedettero con estrema discontinuità sino al 1985, ossia sino alla prematura morte di Tamburini, occorsa, ironia di una sorte cinica e bara, per overdose proprio nell’86, l’anno scelto quale ambientazione per quelle storie di fantascienza tossica e scorretta. Quell’86 alternativo, anticipatore di un immaginario a venire, saccheggiato a piene mani persino da Hollywood (basti pensare a Terminator), è ora raccolto per la prima volta nella sua interezza in un solo volume. Una pietra miliare della controcultura italiana da non dimenticare o, per i più giovani, da scoprire. Comunque sia, un classico. Nel senso più coatto del termine, s’intende.
Pingback: Ranxerox letto da Tommaso Pincio | Conversazioni sul Fumetto
Pingback: Ranxerox letto da Tommaso Pincio | Conversazioni sul Fumetto