L’ultima donna condannata a morte in Giappone si chiamava Takahashi Oden. Fu decapitata a Tokyo nel 1897 perché accusata di avere avvelenato il marito. Il caso suscitò estremo scalpore e venne riproposto a lungo in tutte le salse. Inchieste, romanzi scabrosi, film. In ognuna di queste versioni Oden veniva soprannominata dofuku, “donna velenosa”, una particolare tipologia femminile che da tempo infestava le fantasie più morbose: quello della fanciulla all’apparenza fragile e soave ma letale come un serpente. Il paese stava attraversando una fase cruciale. Si andava compiendo la transizione dal sistema feudale allo stato moderno. Cambiamenti che in Occidente avevano richiesto processi lunghissimi e rivoluzioni sanguinose furono realizzati nel volgere di pochi anni senza sommovimenti di popolo. Il passaggio non poteva tuttavia restare indolore. Un taglio tanto brusco con la tradizione doveva necessariamente lasciare qualche segno nell’immaginario popolare. Nata della cronaca nera, la donna velenosa divenne ben presto una creatura letteraria, un fantasma della psiche collettiva. La dofuku incarnava perfettamente le inquietudini insite nella modernità. La sua carica sessuale distruttiva annientava d’un colpo l’idea di una donna addomesticata, devota alla famiglia e sottomessa all’uomo.
È passato più di un secolo da allora, ma questa perversa idea di femminilità non è affatto scomparsa. Una recente rivisitazione manga del più grande classico della letteratura giapponese, il Genji Monogatari, propone la disturbante figura di una balia che si bagna i capezzoli di veleno al fine di sbarazzarsi dell’infante che deve allattare. Un altro esempio è la protagonista della prova di esordio di Kanae Minato, La confessione. Il romanzo ha prontamente scalato le classifiche, guadagnandosi un raffinato adattamento cinematografico di Tetsuya Nakashima ora distribuito anche in Italia. Si parte dal ritrovamento del cadavere di una bambina in una scuola media. La madre, una giovane insegnante dell’istituto, è convinta che i responsabili siano due suoi allievi ed escogita pertanto la più perfida delle vendette. Al cospetto della classe riunita annuncia di avere avvelenato il latte destinato ai presunti assassini: vi ha iniettato il sangue del suo compagno, ammalato di AIDS. E non è che l’inizio, la prima di una lunga serie di confessioni.