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BREVE STORIA (QUASI) ROMANTICA DI REALISMO CAPITALISTA

Siccome sono un animale abitudinario si può essere certi di vedermi uscire di casa per gettare la spazzatura poco prima delle 14, ossia poco prima che il portinario del palazzo in cui vivo chiuda il portone. A quell’ora infatti, dovendo lui chiudere il portone, sono certo di incontrarlo e che postino e corrieri siano già passati per consegnare i pacchi. Sono certo cioè di poter verificare se qualche anima gentile del mondo editoriale mi abbia spedito una novità libraria. Nelle giornate in cui c’è posta per me, capita dunque che mi ritrovi a scartare il plico davanti ai cassonetti della monnezza. Prima butto i rifiuti – indifferenziati o da riciclare che siano – quindi mi piazzo davanti al cassonetto della carta e comincio a scartare. Nelle giornate in cui c’è molta posta per me, uso il cassonetto come tavolo di fortuna, ci poggio sopra i plichi e comincio a scartare. So che si potrebbero trarre molte conclusioni da questa mia abitudine di scoprire quali libri mi hanno spedito, standomene in piedi in mezzo alla monnezza, ma andiamo al fatto. Ieri è stata una giornata discreta, quanto a anime gentili del mondo editoriale: il portinaio mi ha consegnato ben due plichi e me ne stavo perciò con uno di essi in mano e l’altro temporaneamente poggiato sul cassonetto, quando, girandomi, ho visto avanzare nella mia direzione una ragazza sui venticinque, alta, shorts di jeans neri, calze nere, stivaletti neri e rossetto rosso rosso. L’ho osservata per qualche secondo. Non tanti però, primo perché non sta bene osservare a lungo una bella ragazza, secondo perché era comunque troppo giovane e alta per me, per cui tanto valeva scartare i plichi, che è pur sempre un piacere anche se forse non quanto una bella ragazza. E insomma sono lì che scarto quando di colpo sento una persona piombarmi sulla schiena gridando. Te pareva, mi sono detto, ecco la matta, mai che si possa stare tranquilli un attimo in sta città del cacchio. Mi volto e non era una matta, ma la ragazza di prima in short di jeans neri calze nere ecc. Butti i libri, grida. Butti i libri. Io, stranamente impassibile benché mi stia rivolgendo a una ragazza, dico veramente non li sto buttando, malgrado i due volumi che ho già scartato si trovino sopra al cassonetto. Sì, butti i libri. Ma no, li ho solo poggiati, tranquilla, anzi me li riprendo subito, guarda. Perché se devi buttarli, insiste lei, dalli a me piuttosto. E lo dice in modo così accorato, guardando i libri con tale disperazione, che un altro uomo al posto mio, un uomo probabilmente normale, avrebbe detto senti, non li stavo buttando ma te li regalo comunque. Invece ho guardato i due libri che avevo in mano, in particolare Il nostro desiderio è senza nome – Scritti politici di Mark Fisher, e sempre imperturbato le ho detto ti ripeto che non li sto buttando, li stavo scartando soltanto. Delusa, la ragazza ha indugiato un po’, dopodiché ha proseguito per la sua strada, e solo a quel punto ho cominciato a dirmi Certo che sei proprio un bel tipo. Che ti costava darle un libro? Che ci dovrai mai fare con l’ennessima raccolta di scritti di Mark Fisher? Cos’è che non hai ancora capito del realismo capitalista? E comunque potevi sempre ricomprartelo, sta minchia di libro, senza contare che a casa, non sai più dove metterli, i libri. Non era forse più carino darlo a una ragazza sconosciuta, un libro intitolato «Il nostro desiderio è senza nome»? Stavo quasi per ripensarci, per rincorrerla e darle il libro, quando è apparsa un’altra persona, un ragazzo stavolta, sui trenta, l’aria simpatica, non ignorante, carino. Io invece, mi fa, i libri li butto davvero. E ne piazza quattro sul cassonetto. Li butti davvero? chiedo. Li butto davvero, se ti interessano prendili. Li guardo, alcuni sono monnezza, non posso negarlo, ma uno è Il cuore è un cacciatore solitario di Carson McCullers. Questo però non è un libro da buttare. Dici? Dico sì, è un buon romanzo. Sarà anche buono ma ho casa piena di libri, non so dove metterli, prendilo te. Eh ma io l’ho già e lo prenderei anche se pure casa mia non fosse piena di libri. Scambiamo ancora qualche battuta e intanto mi chiedo, rivolgendomi idealmente al ragazzo, ma sei scemo o cosa? Te ne stai qui a parlare con me, quando dovresti prendere Il cuore è un cacciatore solitario e correre dietro alla ragazza in shorts e calze nere. Io sono autorizzato a comportarmi così, anzi direi che è quasi doveroso alla mia età. Tu no. È solo un gesto, mica te la devi sposare. Alla fine ci salutiamo, lui va per la sua strada, io per la mia, anche se io non ho una vera strada. La ragazza in shorts neri si è ormai dileguata. Apro una pagina a caso del libro di Mark Fisher e leggo: «Nel recente film di fantascienza In Time [che io stesso ho visto un paio di volte] è il tempo, non il denaro, a costituire la moneta corrente. Arrivati a venticinque anni, i cittadini del mondo futuro raffigurato nel film hanno ancora a disposizione soltanto un anno di vita». Richiudo il libro e penso che il ragazzo di prima non è corso dietro alla ragazza in shorts perché convinto di avere tutto il tempo a disposizione; che la sua vita gli offrirà molti altri anni e chissà quante ragazze, ragion per cui lasciarne andare via una, seppure in una situazione insolita come quella di oggi, sia una specie di lusso, una maniera aristocratica di dissipare la propria giovinezza. Se sapesse che gli anni non sono un pozzo senza fondo, mi dico, non l’avrebbe lasciata andare. Poi penso a me, che ho dissipato la mia giovinezza esattamente alla stessa stupida aristocratica maniera e mi rendo conto che è una questione di indole, non di anni contati. Il realismo capitalista non c’entra nulla. Certi uomini lasciano andare le ragazze in qualunque era, a qualunque età, a venti come a cinquanta. Tornato a casa, ho posato il libro in cima a una delle tante cataste sparse nella mia microcasa. Non ho idea di quanta polvere prenderà prima che torni a riaprirlo o magari decida di buttarlo. Semmai dovesse accadere, semmai un giorno decidessi davvero di buttarlo, so già che non passerà nessuna ragazza quel giorno. Il nostro desiderio è davvero senza nome.

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