Chi ha un debole per Murakami Haruki quasi certamente ne avrà uno anche per 1984. Lo avrà perché i due mondi sono contigui. 1Q84 è giunto nelle librerie giapponesi senza che il suo autore svelasse alcunché. Quale anticipazione concesse solo poche parole: «Un uomo e una donna si innamorano e finiscono nel lato oscuro della Luna». La frase sembra pescata da un biscotto della fortuna e potrebbe servire da minimale compendio per i romanzi più disparati; su tutti, proprio il capolavoro di Orwell. Al netto del Grande Fratello, del totalitarismo, dell’apologo sociopolitico, 1984 è infatti la storia di un amore mancato. Un uomo, oppresso e depresso per via di com’è il mondo, conduce un’esistenza grigia, priva di aneliti di riscatto. Un giorno incontra una ragazza sensuale e piena di vita; così sensuale da far presagire un pericolo. E in effetti un pericolo c’è. L’uomo si innamora, e anche la donna si innamora. I due sconfinano allora nel lato oscuro, il lato nascosto, dove le cose si mostrano in una luce diversa, soffusa, non illuminata dalle nette e spietate certezze del mondo così com’è o come si pretende che sia. La storia non ha un lieto fine. Il loro resta un amore mancato, perché spingersi nel lato oscuro non è mai impresa da poco. Ma dovevano comunque tentare. Senza lo sconfinamento, anche il semplice slancio amoroso sarebbe stato impensabile. Ed è proprio questa la parte più bella della storia, la più toccante e umana: il tentativo (non importa se fallito) di reinventare il mondo. Al cuore di ogni libro di Murakami ritroviamo uno slancio analogo. Varchiamo soglie, visitiamo dimensioni in cui le cose ci appaiono diverse non tanto perché davvero mutate, quanto perché le vediamo con altri occhi. In 1Q84, l’uomo oppresso e depresso, Tengo, è un giovane insegnante di matematica. Avrebbe velleità letterarie, ma il massimo che ha ottenuto è un ingaggio da ghostwriter. La ragazza sensuale e piena di vita, Aomame, è invece un’assassina prezzolata. La sua specialità consiste nell’infilare un ago nella nuca della vittima, in modo da procurare un arresto cardiaco. Un tempo, da bambini, Tengo e Aomame si conoscevano. Ora sono lontani. Vivono in mondi diversi. Nel 1984, lui. Nel 1Q84, lei. Forse il mondo di lei è una fantasia di lui, un personaggio del libro che Tengo sta riscrivendo. Ma non è questo che conta. Nell’universo di Murakami ciò che più importa è la possibilità che una cosa ne contenga un’altra. Che un romanzo contenga un romanzo. Che il 1984 contenga un 1Q84. Che il noto apra all’ignoto. Che un amore perduto conduca a un ritrovato amore.
Non è dunque questione di specchi, di doppi, di mondi paralleli, bensì di porte, di vie d’accesso, di vasi che ci mettono in comunicazione con un qualcosa che, pur nuovo e inesplorato, era già qui, nascosto in noi. Resta da stabilire se il richiamo alla favola nera di 1984 fosse sufficiente per fare di 1Q84 un altro capolavoro. Evidentemente no. Non poteva bastare e non è bastato. 1Q84 è un romanzo tutt’altro che perfetto. Tende alla prolissità, per dirne una. Abbonda di ripetizioni e chiarimenti superflui. Ricorrono immagini e situazioni trite, ammiccanti, per dirne un’altra. Lo stile non è impeccabile. Le gambe delle ragazze sono lunghe e affusolate. Si sospira molto e quando lo si fa, anche i sospiri sono immancabilmente lunghi, seppure non affusolati. Nonostante ciò, malgrado i suoi difetti, è un romanzo che resta appiccicato all’anima. Forse perché è libero e sincero. Murakami è un corridore, un maratoneta dilettante. Correre sulle lunghe distanze, per ore, è possibile soltanto attraverso il conseguimento di uno stato mentale, una sorta di trance in cui la sofferenza fisica, che inevitabilmente giunge, diventa una corrente, il fiume lungo il quale, come una barca, scorre il corpo. 1Q84 sembra scritto in uno stato simile, accettando l’idea che gli sbandamenti sono imprescindibili quando ci si abbandona al flusso dello scrivere. Ma quegli stessi sbandamenti, inevitabili come lo è il dolore quando si corre, sono anche la chiave che apre la porta del lato oscuro, la bellezza che dorme in noi. E quasi mai la bellezza nascosta è un catalogo di perfezioni; somiglia piuttosto a un bouquet di errori.
Salutare elogio dell’imperfezione, durante il lugubre periodo dell’elogio del dogma.