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Georgi Petrusov, “Portrait of Aleksandr Rodchenko” (1933)

“Il plagio è una nozione idiota, la cui frequentazione rende idioti”: chiunque viva di letteratura, non importa in quale veste, se di critico, scrittore o semplice lettore, presto o tardi si trova a fare i conti con questa verità crudamente espressa da Marie Darrieussecq nel saggio Rapporto di polizia. Può darsi che la verità del problema, la sua idiota natura cioè, non venga colta né presto né tardi, ma è pressoché impossibile non venire carezzati almeno una volta dal suo venticello calunnioso. A me è capitato guardando un film. Dopo poche sequenze, quando la trama muoveva ancora i primi passi, mi è sorto il sospetto che il regista avesse costruito il tutto attingendo in maniera cospicua e spudorata a un mio romanzo. Non ebbi bisogno di attendere la fine perché il sospetto si tramutasse in certezza. Giunti i titoli di coda, avevo raccolto elementi a sufficienza per fugare ogni dubbio. L’idea di protestare le mie ragioni davanti a un giudice neppure mi sfiorò, e non tanto per la difficoltà di dimostrare un fatto pur evidente, quanto perché l’accusa di plagio è incompatibile con i miei principî. Ho sempre considerato l’originalità un’invenzione nociva, oltre che ipocrita. I racconti nascono da altri racconti, le parole da altre parole. Scrivere storie non è che un continuo rimasticare. Lo scrittore che teme di rubare o di essere derubato non è dunque un vero scrittore. Malgrado questa mia convinzione, volli tuttavia confidare a qualcuno il furto legittimo di cui mi sentivo vittima. Fu a questo punto che si manifestò l’idiozia di cui parla Darrieussecq. Per cominciare, scelsi un giudice non esattamente immune da conflitti d’interessi: mio fratello. Inoltre, quando il giudice mi sentenziò che non ravvisava somiglianze di sorta, restai di avviso immutato. Conclusi che mio fratello non aveva prestato la dovuta attenzione ai dettagli. Ciò non mi impedì però di conservare quel minimo di lucidità necessario per sentirmi uno sciocco. Più chiaramente: mi resi conto che non mi interessava affatto appurare la verità; ciò che davvero mi premeva era altro.

Paul Celan

È convinzione di Marie Darrieussecq che dietro l’accusa di attingere oltre il lecito all’opera altrui si nasconda il desiderio folle di essere derubati delle proprie parole. Questo desiderio perverso sarebbe a sua volta espressione del bisogno di sapersi letti e amati, un bisogno simile a ciò che Gatian de Clérambault definì erotomania, “l’illusione delirante di essere amati”, concetto sviluppato anche da Lacan nei termini di una “paranoia di autopunizione”. Darrieussecq, nota per romanzi quali Troismi e Tom è morto, ha deciso di inoltrarsi in un simile ginepraio perché in più di una circostanza si è vista accusata di plagio. Ma non solo. Mentre lavorava al suo unico libro autobiografico, Una buona madre, fu ossessionata dall’idea che altri, dopo di lei, osassero scrivere del tema in esso affrontato: la maternità procrastinata. Ulteriore stimolo, nonché motivo di conforto, fu la scoperta che persino Paul Celan, la cui voce di poeta è ormai all’unanimità considerata unica e inimitabile, dovette subire l’onta della plagiunnia. Claire Goll, vedova del poeta Yvan, lanciò infatti ben tre campagne di diffamazione da cui Celan uscì devastato. Che lo si accusasse di avere copiato equivaleva per lui a un tentativo di eliminazione fisica. Le parole erano la sola cosa che gli restava o perlomeno quella che riteneva più sua: essere bollato come ladro di parole era peggio di un’infamia, significava spossessarlo della sua identità, annientarlo. Cercare di difendersi, confutare le prove portate a suo carico sarebbe stato inutile oltre che umiliante. Un esempio: Celan avrebbe copiato il frammento di verso “sangue di luna” perché in una composizione di Goll si legge: “una goccia del sangue lunare”. Il buon senso imporrebbe che simili coincidenze fossero pesate senza perdere di vista l’insieme, ma l’idiozia insita nella nozione di plagio prevede invece l’esatto contrario: una spasmodica attenzione al dettaglio, non importa quanto irrilevante nell’economia dell’opera. Quasi mai perciò l’accusa di plagio risponde a criteri di ragionevolezza; è piuttosto e perlopiù “un tentativo di far impazzire l’altro”.

È nella Russia dei primi anni della Rivoluzione che la plagiunnia inizia a essere usata sistematicamente quale efficacissimo strumento di annientamento. Caso emblematico quello di Majakovskij, che nel 1927 ebbe l’idea, non proprio brillante, di insultare un protetto di Stalin. Fu chiesto che venisse “rimesso al suo posto” e quale miglior modo della plagiunnia? Lo si accusò dunque di custodire i manoscritti del defunto Chlebnikov e di pubblicarli a poco a poco con il suo nome, come fosse lui l’autore. Tre anni dopo, nel corso di una serata letteraria, Majakowskij esclamò: “Mi si accusa di così tanti peccati, che ho o che non ho commesso, che a volte mi capita di dirmi che dovrei andare da qualche parte e restarci per un anno o due, se non altro per non ascoltare più le accuse”. Ci andò davvero da qualche parte, e non per un giorno o due. Il suo sfogo precedette infatti di pochi giorni il gesto estremo che l’accomuna a Celan, il suicidio. Del resto, non c’è scampo. La tesi di fondo di Darrieussecq è che “due libri, quali che siano, letti in parallelo in un’ottica malevola o paranoica, potranno sempre passare per plagi l’uno dell’altro”, quando invece bisognerebbe dare per scontato il “plagio per anticipazione”, come lo chiama Perec alludendo al fatto che, in quanto creature appartenenti a una medesima specie e mosse pertanto da bisogni e stimoli analoghi, gli scrittori incorrono fatalmente nella sconvenienza (se mai è una sconvenienza) di proporre temi, racconti e accostamenti di parole già scritti.

Se il buon senso finisce per avere la peggio è perché cozza con un’idea molto in voga, sebbene vecchissima. All’origine di tutto ci sarebbe Platone. Fu lui, affermando che l’invenzione poetica parla al “posto di coloro che hanno fatto la guerra” ossia di chi ha sofferto in prima persona, a porre le basi del sentimento diffuso in base al quale leggere narrativa è una perdita di tempo. Ai racconti d’invenzione andrebbero preferiti la vera Storia e i documenti di vita vissuta, perché, ci dice Platone, “l’imitazione non conosce nulla di essenziale sul conto di ciò che imita: la sua imitazione è uno scherzo più che un’attività seria”. Accusare di plagio e lamentare una qualche forma di inautenticità sono in fondo la stessa cosa. Ne consegue che, in teoria, qualunque sforzo di immaginazione, o anche di semplice empatia, reca la macchia dell’appropriazione indebita. Calarsi nei panni del prossimo, immedesimarsi, significa in fondo appropriarsi di cose d’altri, di esperienze che non ci appartengono e pertanto, nella più indulgente delle ipotesi, dovrebbe essere stigmatizzato come un atto di usurpazione. Che nella sostanza non sia così pare evidente a tutti, ringraziando il cielo. Ciò non basta però a riscattare la nozione di plagio, a renderla estranea alla pericolosa e censoria idiozia che Marie Darrieussecq ha inteso smascherare.

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17 thoughts on “RAPPORTO DI POLIZIA

  1. Questo breve saggio di Tommaso Pincio è una perfetta cartella clinica. Benjamin che auspicava un libro fatto soltanto di citazioni (Montaigne, del resto, e Burton, si sono avvicinati a questo “platonico” risultato – e con loro Langley, il fratello “vedente” dello splendido romanzo di Doctorow) è in tema e insieme non lo è (formula che amo e che plagio da W.Stevens che la plagia da chissà dove). Ma il punto credo sia davvero -come l’autore di questo argutissimo scritto ha “denunciato”- l’essere psichicamente appesi a un filo che è proprio della natura o autopercezione dello scrittore (da alcuni per fortuna elusa). Toglimi la leva della proprietà del mio sintagma e tutto il mondo del mio romanzo crollerà. Io sono ciò che sarà imitato o si tenterà di imitare (al netto di quanto ho imitato). E’ un problema serio. Sembra che molti (Celan benchè troppo celebrato è davvero un grande poeta) scrivano al solo scopo di produrre una parola in più di quelle che saranno colpite dallo smascheramento da parte della unità antiplagio:quasi per calcolo differenziale, quasi si invocasse un newtonianoleibniziano (appunto!) accertamento di una specie di immunizzante velocità istantanea. Lo scrittore (che si distrae dal senso della scrittura:corroborare, con torsioni singolari da enjambement e tempismo da tattico, il valore espressivo di cose già messe in moto e roteanti nello spazio) ha l’incubo della gaffe. Il segreto di pulcinella. Il re è nudo. Dire a una donna attraente sai che assomigli a quella attrice…e sentirsi rispondere sì lo so me l’hanno detto. Lo scrittore è così meno complesso che complessato! Per varie fasi di ottundimento crede che il suo talento stia nella scoperta della farfalla rarissima e non nel suo studio e nella sua ricerca per trovarla e poi classificarla. Io penso che un correttivo (che non elimini del tutto una ossessione che se tenuta a bada è anche fertile) sia quello di saper insinuare nelle commessure della propria opera (tra un atto e l’altro:tra una frase e l’altra, etc.) la invisibile didascalia “malgrado”: ti sto parlando di sangue della luna malgrado tu possa averlo sentito dire, anzi lo faccio proprio per questo, perchè tu sappia che prima di ora:lo hai già sentito e non lo hai mai sentito.

    • Ogni scrittore, ogni poeta, è un’isola deserta. Tutto ciò che trova in quell’isola non soltanto gli appartiene, ma lo rappresenta, ne costituisce la voce. Premesso ciò, la letteratura è prima di tutto tradizione. Si scrive perché esiste una lingua, perché altri prima di noi hanno convertito suoni a significati e a sfumature di significati. Accettare umilmente (senza la pretesa dell’originalità) di piegarsi alle parole già date è il massimo atto d’amore per uno uno scrittore. Ciò non c’entra molto con quello che comunemente si intende per plagio, s’intende, nondimeno quel che comunemente si intende per plagio scaturisce, anche giuridicamente, nella fede idiota (poiché presentuosa) nella creazione individuale. Qualcuno, forse Hemingway ma non ne sono certo, ha detto che si acquista una voce originale proprio quando non ci si vergogna più di ascoltare la voce di altri scrittori e d’imitarla.
      PS: Dire a una donna “Somigli a una certa attrice” è come dirgli che è bella più di quanto già non sia, ossia che è bella perché esiste un’idea di bellezza. In fondo, il massimo del plagio. Però è un bell’esempio, questo tuo. Non ci avevo pensato.

  2. Se ho ben capito dalle prime righe dell’articolo vittima e dunque carnefice di plagio lo è stato anche Tommaso Pincio. Puoi citare il film e il romanzo oggetto di questo ”abbinamento”?

    • Come dovrebbe emergere da quanto ho scritto, non si tratta di plagio conclamato ma di una mia allucinazione, non so quanto paranoide. Non ho citato esplicitamente il film in questione proprio per evitare che altri si dilettassero nello stesso esercizio, peraltro condizionati dalla mia indicazione. Posso al massimo rivelare di quale mio romanzo stiamo parlando. Il resto lo lascio alle speculazioni del prossimo.

      • Lascia che sia un Tuo affezionato lettore a giudicare se si è trattato di allucinazione. è possibile che invece di un esercizio di paranoia da autopunizione si tratti a miei occhi di una messa in scena di un Tuo romanzo. sotto questo punto di vista spero non legga nella richiesta una speculazione finalizzata alla calunnia/denigrazione di uno dei due nominati nel plagio. rinnovo dunque così motivando la completa citazione di romanzo e film.

        ps.: non si riceva per dato implicito che se di messa in scena di un romanzo si tratta allora è pacifico si è di fronte ad un plagio del film sul romanzo: come preferisco ripetere, non è questo il punto che qui interessa

  3. Fabio (curiosamente ti chiami proprio come mio fratello), qualunque sia il nesso tra il romanzo e il film (amesso che un nesso vi sia), non era mia intenzione lasciare giudicare ad altri, foss’anche un affezionato lettore. Altrimenti avrei detto subito di che pellicola si tratta, ti pare? Non ti resta che vedere tutti i film italiani usciti da un paio d’anni a questa parte e stabilire se ve n’è uno più o meno somigliante o particolarmente ispirato (definizione ques’tultima più corretta). Può essere un esercizio interessante.

  4. ahahahahah! vabbene, e visto che ho lo stesso nome di Tuo fratello, almeno mi passi il titolo del romanzo? sennò che esercizio mi fai fare?
    se poi vuoi anche aggiungere l’iniziale del titolo del film italiano in discorso, l’intrattenimento diverrà certo più interessante, si?
    in definitiva una versione film unofficial di un romanzo rimane vieppiù arricchente per l’autore e i suoi lettori, altrimenti nel post avresti potuto citare mille altri esempi invece che il caso personale.

  5. Ho scelto un esempio personale non perché lo ritenga particolarmente significativo ma soltanto perché quando si definisce idiota qualcosa (in questo caso la nozione di plagio) è bene fare un esame di coscienza, ossia non ritenersi superiori o estranei alla norma. Il nocciolo della questione non è il plagio in sé. Concentrarsi su uno dei tanti ipotetici casi di indebita appropriazione intellettuale significa dunque fermarsi alle apparenze. A ogni modo, il romanzo è l’ultimo in ordine di pubblicazione.

  6. Grazie caro. ha inizio l’approfondita ricerca. Sei tu l’Artista, infatti fai icchèvvoi. da parte di questo lettore hai la promessa che farà di tutto per non soffermarsi sull’idiozia di star lì a scovare un furto intellettuale. E nota: non verrai ricordato per la superbia, men che meno per l’accidia.

  7. Un momento, adesso l’idiota sono io nel fare la seguente domanda di chiarimento: se il film è uscito negli ultimi due anni in italia e il romanzo nominato è stato pubblicato da Laterza nel 2011 (ovvero Hotel a zero stelle, peraltro già letto e goduto) come è possibile fare l’inquiry? sembra quasi che sia uscito prima il film e poi il romanzo e dunque vittima del plagio sia stato il regista….
    piaggeria a parte, un aiutino all’omonimo fraterno?

      • Proprio come quell’omino per la strada, che fa suonare il bottone di un citofono e subito dopo si discolpa per aver sbagliato interno.
        Gorbaciov di S. Incerti per certi versi rievoca caratteri di Cinacittà.
        Se poi, addirittura con private mail, mi si vuol rendere completamente edotto, non mi offenderei.

  8. Mi sono trovata da entrambi i lati della questione dunque ogni discorso che l’affronti m’interessa, soprattutto nel modo in cui la si discute. Ho notato, ad esempio, che nel trattarla, che si sia dalla parte del plagiato o del plagiatore si ricorre quasi sempre alle stesse citazioni adattate, a seconda del caso, alla consolazione dell’uno o all’assoluzione dell’altro. Che ciò possa accadere ci porta a credere che il problema sia, in realtà, un falso problema poiché se ciò che vale per l’uno vale anche per l’altro la questione si annulla. Infatti, e ricorro ad un esempio banale, volendo racchiudere l’amore in due categorie, quello felice e quello infelice, quanti romanzi potremmo definire originali? ed estremizzando, non sono le traduzioni stesse plagi autorizzati e comunemente accettati senza battere ciglio? Ma tornando al plagio e alle sue salvifiche citazioni là dove queste ultime mi sembrano manchevoli è nella loro non attualizzazione rispetto alla possibilità odierna di accedere a materiale inedito o, come certi scrittori e poeti usano definirlo, “grezzo”: ad esempio se io prendessi questo bel pezzo che mai e poi mai sarei stata in grado di scrivere, e lo mettessi nel mio blog a mio nome ritenendo che apporre la mia firma rappresenti quel “guizzo”, quello “scarto creativo” ( il concetto di plagio gioca in gran parte su questo indefinito) che lo differenzia da quello scritto da T. Pincio potresti recriminare qualcosa? O se, per ipotesi, quel tuo romanzo prima ancora che fosse pubblicato l’avessi dato in lettura a quel regista e questi ne avesse ricavato una sceneggiatura per un suo film, questo pezzo sarebbe stato scritto così come lo leggiamo? Non so, mi sono convinta che plagio e i suoi dintorni sono un terreno molto scivoloso, e quando se ne parla in qualche modo si cerca sempre di fare attenzione a mantenersi puliti ponendosi un po’ fuori i suoi margini, o lo si tratta con i guanti quasi fosse una materia immonda con cui è facile insozzarsi. Il plagio ha dell’imponderabile, è come quando si lascia qualcuno usando come giustificazione il troppo amore o ci si rassegna se per lo stesso motivo si viene lasciati.

    grazie
    lisa

    • Lisa, ciò che dici è molto sensato, molto vero. Il plagio è un terreno scivoloso, ma soprattutto arbitrario. È molto difficile stabilire se e quanto si sia attinto al lavoro altrui. Soprattutto è assai difficile dimostrarlo. Va poi considerato un fatto: è molto facile, in fondo, mettersi al riparo da conseguenze legali. Basta un po’ di furbizia. Basta cambiare quel tanto e il plagio non è più perseguibile. Spesso le accuse di plagio riguardano infatti opere oscure o inedite di cui il presunto plagiario si sarebbe impossessato proprio perché oscure o inedite. Solo un’idiota infatti potrebbe plagiare “Il nome della rosa” o un romanzo altrettanto noto e sperare che nessuno se ne accorga. Tu potresti certo plagiare il mio pezzo, ma siccome è pubblicato e facilmente accessibile, verresti presto scoperta e probabilmente anche denigrata. Pensa a quel che è successo a Daniele Luttazzi. Le battute di cui si è appropriato erano pubbliche e pertanto chiunque poteva fare un confronto. Se avesse invece “rubato” battute inedite, non avrebbe avuto problemi. Per contro, li avrebbe avuti (e molti) il “derubato” nel dimostrare il furto. Diciamo dunque che la pubblicazione è una grande forma di tutela, e infatti e giustamente tu proponi anche l’ipotesi “qualora un mio romanzo non ancora pubblicato…”. Come ho scritto nel mio pezzo, però, da un mio romanzo pubblicato è stato tratto bellamente un film. O per meglio dire: a me parve sia stato tratto un film. Poco importa stabilire se sia mia paranoia o verità. Il film si distanzia quel tanto dal romanzo da considerarsi opera originale. Ripeto, basta poco; basta un po’ di furbizia per trarre lecitamente “ispirazione” dall’opera altrui. Anche per questo ritengo che quella del plagio sia una nozione idiota. Al di là di tutto ciò, resto comunque dell’avviso che poco conta quanto si sia attinto al lavoro altrui. Conta soltanto l’opera in sé e per sé. Se questa ha una sua ragione d’essere, una sua qualità, una sua personalità, è per me indifferente sapere quanto sia in debito col prossimo. Siamo esseri umani, e la massima parte di quel che siamo la dobbiamo comunque agli altri.

  9. Ti ringrazio della risposta che condivido. La “pubblicazione” in rete (n.b il mio era solo un esempio, non farei mai una cosa del genere) è ancor meno sinonimo di “garanzia” di quella cartacea, tutto è più aereo forse è per questo che oggi anche le questioni di plagio, che il più delle volte in rete riguardano il semplice copia-incolla, hanno perso anche quell’aura se vogliamo “nobilitante”, e ritrovarsi nei panni del plagiato o del plagiatore diventano soltanto due esperienze di pari sgradevolezza in cui le due figure finiscono coll’essere sovrapposte e collocate in una sorta di limbo criminale. Non rinnego le mie reazioni in quei frangenti, ma oggi a distanza di tempo guardo la cosa con un certo distacco anche perché se come anche tu credi è l’opera quella che conta, è proprio questa alla fin fine, in queste diatribe, a farne le spese.

    grazie
    lisa

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