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Crescere è un po’ smarrirsi. Ma naturalmente preferiamo credere il contrario. Ci piace pensare che la vita acquisti un senso più definito soltanto quando la linea d’ombra della giovinezza e le sue burrascose acque sono ormai alle spalle. Ci piace cioè credere che soltanto imboccando il viale della maturità si diventi finalmente se stessi, quando invece la verità è un’altra. Spesso, col passare degli anni, perdiamo pezzi di noi, accumuliamo buchi che tappiamo alla meno peggio, assumendo pose, adeguandoci come possiamo all’immagine della persona che avremmo voluto essere o, più spesso ancora, all’idea che gli altri si sono fatti di noi. Solitamente il corso delle nostre vite, la routine quotidiana e le sue convenzione sono tali da consentirci di eludere questa realtà, ma vi sono casi di esistenze condotte più al limite, esistenze nelle quali il confrontarsi con lo smarrimento della propria identità è, oltre che un destino inevitabile, una forma di sopravvivenza. Aleksandar Hemon giunse negli Stati Uniti nel 1992, poco prima che il suo paese d’origine, la ex Jugoslavia, annegasse in un bagno di sangue. Era a Chicago quando vide in televisione l’assedio di Sarajevo, la città in cui era nato ventotto anni addietro. Decise di non tornare, unendosi all’esercito di diseredati, profughi e migranti in cerca di una green card, il passaporto del Sogno Americano. In patria, seppur giovane, era uno scrittore già pubblicato, ma la sua conoscenza dell’inglese era troppo elementare e dovette arrangiarsi facendo mestieri di ogni tipo. Nel giro di pochi anni riuscì tuttavia a impossessarsi della nuova lingua leggendo l’opera di Vladimir Nabokov, un esule come lui, e a Nabokov viene infatti sovente accostato, sia per la ricercatezza dello stile, sia per il tono sardonico, all’apparenza distaccato ma in effetti scosso dal battito inquieto di un cuore di tenebra, tanto per evocare un’altra evidente ascendenza.

L’ultima fatica dell’autore, Amore e ostacoli (magistralmente tradotta dalla sempre impeccabile Maurizia Balmelli) si apre proprio con un omaggio allo scrittore polacco che raccontò la vita marinara scegliendo l’inglese come lingua d’adozione: «Era una perfetta notte africana, uscita dalle pagine di Conrad: l’umidità rendeva l’aria pastosa e stagnante; la notte odorava di carne bruciata e fecondità; le tenebre fuori erano vaste e inscalfibili». È un incipit significativo, quasi una dichiarazione poetica, e lo è non tanto per lo specifico modello che viene citato, bensì per la nozione che sottintende: tanto più una cosa somiglia alla letteratura, tanto più è perfetta. Per il protagonista del libro — uno scrittore le cui esperienze sembrano ricalcare da vicino quelle di Hemon — conflitti e delusioni nascono proprio quando all’ideale amoroso si frappongono gli ostacoli del mondo così com’è, un mondo per nulla perfetto e che il più delle volte procede per conto proprio, disinte ressandosi della poesia che gli scrittori si sforzano di riconoscervi. Potremmo parlare di un romanzo di forma zione se il percorso erratico del protagonista non venisse restituito per frammenti, attraverso otto racconti che fis sano momenti sparsi, compre si tra l’adolescenza e la maturi tà. Legati da un filo più che sottile, ognuno di questi momenti fa storia a sé, anche perché il nome del protagonista non vie ne mai rivelato, lasciando il lettore nel dubbio che possa trattarsi di otto persone diverse che vivono uno stesso tipo di vita, quella di un bosniaco costretto a perdere la propria identità e a reinventarsi una vita in un paese straniero. Hemon non è mai tragico né tantomeno melodrammatico.

Questi otto momenti di disillusione e smarrimento, seppure venati di tristezza, si fanno apprezzare soprattutto per la sensibile comicità, a cominciare da Tutto, stupendo racconto nel quale il nostro antieroe, un giovanissimo poeta in erba, viene mandato dal padre nella città di Murska Sobota con un incarico speciale: acquistare un congelatore orizzontale perché il freezer del frigorifero non basta più ai bisogni famigliari. Oltre che giovanissimo e poeta, l’antieroe è però anche un «vergine riluttante» convito che lontano dalla cerchia domestica si aprano distese selvagge di «sesso purissimo» e pensa dunque di portare con sé una pillola anticoncezionale che resterà ovviamente inutilizzata, a riprova del fatto che il mondo trova sempre la maniera per dimostrarsi diverso da come lo immaginiamo. Ciò nonostante i personaggi di Hemon non rinunciano mai a sfidare la disillusione, fiduciosi che, a forza di immaginarsi amori, gli ostacoli cadranno. E poca importa sapere quanto queste storie raccontino il vero Hemon, perché come dice uno dei suoi antieroi, «quando cominci a inventare e monologare, è tremendamente difficile smettere». Se crescere significa anche smarrirsi, allora fingere è un po’ ritrovarsi.

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