Moby-Dick nella rinnovata versione di Ottavio Fatica. Ne vale la pena? Forse no, se si ha l’abitudine di sdegnare le traduzioni in favore dell’originale. Eppure se le parole pesano e ci emozionano – e in Moby-Dick pesano ed emozionano tantissimo – non è per le cose che esse indicano, ma per come sono giunte ad assumere quel certo significato, per come si sono addensate in noi, diventando memoria viva, madrelingua. Perciò, a meno di non leggerlo nella lingua che ci ha generato, l’anima più profonda di Moby-Dick, come del resto di un qualunque altro originale, è destinata a sfuggirci, a spiaggiarsi sulla nuda battigia del significato. Una buona traduzione ci restituisce quell’anima reiventandola nei suoni e nei sedimenti che più ci appartengono. L’impresa è ovviamente infida e insidiosa; obbligata al compromesso e dunque sempre manchevole al cospetto dell’originale. Ma non c’è mai soltanto l’originale. Ogni volta che leggiamo un libro ce ne impossessiamo, lo espropriamo all’autore, lo tradiamo. Leggere vuol dire tradurre ed è proprio nel leggere traduzioni che la letteratura meglio corona il suo sogno impossibile. Resistere ai secoli, all’oblio, all’incomprensione. Libro malato, rabbioso, eccessivo, Moby-Dick rischiò d’inabissarsi per sempre all’indomani della sua pubblicazione. Si è però rivelato degno del suo protagonista, un mostro di oscurità e tuttavia bianchissimo. Una pachidermica leggerezza gli ha consentito di riaffiorare a più riprese finanche da noi. Dopo una ventina di traduzioni, cominciando da quella che Pavese azzardò poco più che ventenne, ecco aggallare quella di Fatica. Intrisa di toscanismi, d’infilate d’aggettivi quali «lutento, putre, piaccicoso» e reminiscenze leopardiane come «dí di festa», la sua è forse la prima balena modellata sulla vera follia di Melville, quella di comporre un poema contro Dio. Vi troviamo così «confitto» non perché antico rispetto a conficcato, ma per tenere una metrica e perché può significare anche inchiodato, confitto in croce. Sembra di ascoltare Dante letto da Carmelo Bene. La balena bianca è un ormai libro tanto italiano che tradurlo ancora non avrà più senso.
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